COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI

 

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 6,37-40)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: "Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa é la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del. Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno".

LITURGIA DELLA PAROLA

PRIMA LETTURA.

Dal libro di Giobbe (Gb 19,1.23-27)

Rispondendo Giobbe disse: "Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro sul piombo, per sempre s'incidessero sulla roccia! Io lo so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno e non un altro".

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di San Paolo apostolo al Romani (Rm 5,5-11)

Fratelli, la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci é stato dato. Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati per mezzo di lui. Se infatti, quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione.

(1^ Omelia)

La morte é vissuta malamente dal nostro tempo. La morte nell'epoca moderna ha un posto strano nella considerazione degli uomini, delle donne del nostro tempo. Da una parte è ancor più presente di una volta; ha una quotidianità, una visibilità estrema. Mentre stiamo mangiando, l'abbiamo nel piatto, ma é sempre mediata, è attraverso immagini e perciò basta cambiar canale, basta sovrapporre un'altra immagine ed essa viene nascosta.

La sua presenza è mascherata; siamo a disagio se qualcuno affronta esplicitamente il tema della morte o semplicemente usa la parola, ci pare di pessimo gusto. E oggi che non è di pessimo gusto andare in giro nudi o fare le cosiddette sfilate di alta moda, dove di alto credo ci sia solo il prezzo, dove il confine tra buon gusto e pornografia sembra azzerato, oggi sembra essere "pornografia" parlare della morte e dei morti. Non l'ho detto io, l'ha detto più di vent'anni fa un sociologo inglese. Parlava in un suo studio esplicitamente di questo "La pornografia della morte".

Oggi che i bambini sanno tutto su come nascono i loro fratellini, non ci sono cavoli e cicogne, hanno davanti a loro, di fronte alla morte dei nonni, questi strani modi di parlare: il nonno che va sulle nuvolette di un improbabile cielo, perché i nonni non muoiono più, non s'ammalano nemmeno vanno direttamente in cielo. In quest'epoca in cui assisto, facendo molti funerali, al fatto che i nipoti, se sono piccoli non possono essere presenti, se sono grandi, hanno da studiare. Allora la morte, come presenza fisica, utilissima a pensarla, utilissima per ripensare anche la nostra vita nel confronto con lei, è, dicevo prima, mascherata e mimetizzata.

Noi siamo qui a guardarci in faccia, siamo spavaldi, vogliamo essere controcorrente? No, né l'una né l'altra cosa. Il fatto è che, se vogliamo essere adulti, e adulti anche nella fede, dobbiamo renderci conto che la morte merita rispetto, non può essere banalizzata. Non può essere solo raccontata, perché io ho davanti a me, non so quando, ma sono sicuro, la mia morte, che la pensi lontano, non conta niente, perché la vita di un uomo dura due stagioni. Ho più di cinquant'anni, e mi sembra ieri che giocavo da ragazzo, altrettanti non ne avrò e dunque è più vicina la morte che non i miei ricordi d'infanzia.

E la fede che cosa mi dice? Mi dice questo - e parto dalla prima lettura, presa da Giobbe, questo stupendo libro che pone molte domande e che ha poche risposte: "Io lo so che il mio Redentore è vivo... Dopo che questa mia pelle sarà distrutta,... vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso"' Vorrei chiarire una parola, che la tradizione mette "il mio Redentore" - e noi abbiamo già fatto un'immagine probabilmente da santino. La parola, l'esperienza sociale che sta sotto questa parola, è "goel", il difensore. Redentore nel senso che é il parente ricco, è il parente che salda il debito, perché io sono povero e non ne esco, sarò vittima degli aguzzini se lui non salda il mio debito per me. Goel é colui che mi libera. Nel dire questa parola, l'esperienza di Giobbe va sull'esperienza di Israele: Dio è il goel dell'Esodo. Dio è il goel, colui che é potente, ma che ha orecchi per ascoltare il grido del disperato. E ascoltandolo non gli dice buone parole di conforto, scende da lui, condivide con lui la sua disperazione; paga il debito contratto dal disperato, lo rende uomo libero tra gli uomini liberi. Gli rende la dignità di non avere alle calcagna i creditori.

Ecco allora la prima immagine: noi guardiamo a Dio come a colui che ci libera. Da che cosa? Dal morire? E voi mi dite: No, noi moriamo, non ci libera dal morire. Si, in questo senso non ci libera. Però è diventato il nostro redentore attraverso l'esperienza di Gesù, perché Gesù non ha rifiutato di passare dentro e attraverso il morire di un uomo; dentro e attraverso una morte, che non è diventata 1' approdo di una vita, ma è stata il momento di esodo da questa vita a quella che noi ci ostiniamo a chiamare eterna, quasi rimandandola a chissà quando e a chissà dove, perché noi abbiamo un redentore che nel battesimo ci ha fatti passare da morte a vita insieme con se. Noi celebriamo qui la morte come da al di là della morte stessa, perché non la celebriamo noi da soli con le nostre riflessioni e nemmeno semplicemente con la Parola di Dio, che ho voluto mettere qui davanti a voi insieme con il cero pasquale, simbolo di Cristo risorto, per indicare che non è una lotta di pensiero, di ideali che ci diamo, ma è una lotta che Cristo stesso in prima persona ha gestito con la morte e l'ha vulnerata questa morte, ferendola, sembra un bisticcio di parole, a morte appunto. Rendendola ormai una morte non più uguale a prima, morendo per amore, morendo in quel si che ha dato, morendo in quel frutto del rifiuto che fu la morte, perché Adamo rifiutando Dio, rifiutò di vivere, lui che credeva di avere finalmente conquistato l'albero della vita. E il nuovo albero della vita è la croce, un patibolo per i Romani, vessillo e albero di gloria per tutti noi, da cui scaturisce davvero la fonte della vita.

Allora il senso della vita eterna è che noi nel battesimo per la fede, nel pane di vita che mangiamo, e che questa sera ancora spezziamo insieme, Cristo spezza con noi, abbiamo raggiunto, anzi siamo stati raggiunti, dalla "Vita". E questa vita è per sempre, ed e già in noi, abita già i nostri giorni, abita già le stagioni tardive di molti di noi che sono vecchi. Uso la parola, perché dignitosa come la parola morte,"vecchio", non solo anziano, né tanto meno quell'eufemismo un po' bolso e corto d'intelletto, che è "terza età". Noi diventiamo vecchi, se abbiamo grazia di diventarlo, e diventando vecchi facciamo fatica a vivere e la morte ci raggiunge. Noi non abbiamo bisogno di raccontare mistificazioni, perché sentiamo la fatica di questo vivere, ma dentro di essa abita già Cristo morto e risorto. Perché come dice San Paolo nella lettera ai Romani: ci è data la speranza.

Anche qui voglio dire un'ultima precisazione. "La speranza", so benissimo che questa parola sembra essere quasi una pacca fragilissima sulla spalla. Speranza già, chi è che l'ha in tasca? Devi solo aspettare e sembra solo un gioco per rimandare dopo altre tensioni un finale luminoso che forse non ci sarà. No, amici miei, non è questa la speranza; non è un'illusione la speranza. La speranza non è qualcosa che aspettiamo. La speranza non delude - dice San Paolo - perché l'amore di Dio a riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci dato. Che significa questo: lo Spirito Santo che abita in noi, è la caparra del futuro e la caparra é già futuro, non lo sarà tutto, ma è già futuro. Perciò, ritorno all'idea di prima che poi ho abbandonato, la vita eterna é già oggi.

Fratelli carissimi, la vita eterna siete già voi, se credete in Cristo. Ciascuno di noi è già entrato nella vita eterna - anche se ancora vede il limite di questa vita -, se crede in Cristo, se accoglie la sua Parola, se crede nella luce accesa della sua risurrezione, se andando all'eucarestia si ciba di questo pane di vita eterna: "Chi crede in me, anche se morto, vivrà. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno". Gesù ha detto queste parole e non fu un momento di successo. Alla fine di questo discorso, la gente andò via irritata, i discepoli stessi erano incerti se continuare con questo "visionario". I parenti lo mandavano a cercare per portarlo a casa, ne andava del buon nome del casato. Era un po' strano questo profeta di Galilea! E infatti questo primo momento di solitudine, in cui lui annunciava davvero la speranza, si concluderà con l'ultimo momento di solitudine, quello della croce.

Ma è lì, amici carissimi, la forza che vince il mondo. E' il "legno" - come dice S. Agostino - del trapasso all'eternità. Perché S. Agostino citava il vecchio Platone, il quale diceva che per raggiungere la verità, c'erano due strade. Una era quella dei sensi, ma dopo un po' non c'erano più remi né vele per andare verso la verità, che era ancora più lontana di prima. L'altra era quella della ragione, ma la ragione non sa sempre dov'è la meta, si perde. E Agostino diceva: Noi abbiamo un terzo "legno", un terzo battello, che è la croce e questa ha vele per l'eternità. Questa ha vele proprio perché al di la della morte abita la vittoria della croce.

Noi celebriamo questo, lo celebriamo per i nostri cari e ormai credo guardandovi in faccia e conoscendo, non dico tutte le storie, ma molte storie delle vostre case, dei vostri lutti, tutti abbiamo questi morti da portare con noi e da affidare a Cristo, alla sua terza navigazione. Ma abbiamo anche pregato, l'abbiamo fatto per noi, perché guardare in faccia la morte da cristiani, significa cogliere il valore della vita, il valore della croce, che sempre vogliamo evitare o rimandare, se possibile, il valore della fede, il valore della Parola, il valore della comunità per la quale spendere di più e spendere meglio le nostre energie. Mi fermo qui, perché potrei, purtroppo, ricominciare tutto un altro discorso, non è il caso.

Ci affidiamo a Cristo guardando in faccia Lui e accogliendolo nella nostra vita, fidandoci della sua Parola e della sua croce. Essa è una croce gloriosa, glorioso sarà il nostro destino.

(1995)

(2^ Omelia)

Certamente in questi giorni siamo andati o andremo alle tombe nei cimiteri, ed è un gesto non sicuramente, ma probabilmente ancora di fede. Perché si può andare sulla tomba senza sapere che cosa si é andati a fare, senza sapere dove sia la sorte e il destino di coloro, che non solo abbiamo amato, ma ancora amiamo. Senza sapere dove stia il luogo che ancora ci permette di dialogare con loro e di avere appunto verso di loro questo amore.

Certamente questo luogo non è la tomba, la tomba é il luogo della memoria che serve a noi per non dimenticare, ma non è il luogo della loro esistenza e della loro speranza. Questo luogo è solo Gesù il Cristo, questo luogo è l'anima spirituale, il dono dello Spirito, che nel battesimo il Signore a partire dalla Pasqua di Cristo, ha donato ad ogni credente. Questo dono dello Spirito Santo, che innerva ogni creatura battezzata, che diventa il sostegno, il riferimento, la vitalità, non ha più vitalità nel suo corpo e l'abbiamo consegnato alla tomba. Ma da cristiani non dovremmo mai, né solo, la corporeità, pensare che abbiamo consegnato i nostri cari alla tomba, noi in realtà li abbiamo consegnati allo Spirito Santo. Quello Spirito che alitò e si posò e si librò sul caos delle acque primigenie e divenne la fecondità della Creazione. Quello Spirito che Gesù rialitò di nuovo il giorno della sua risurrezione sui discepoli, dicendo: Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. E alitò dicendo anche: A chi rimetterete i peccati, resteranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi. E' questo stesso Spirito il luogo in cui nasce il mondo ed è il luogo in cui rinasce il mondo nuovo, un mondo nel quale non è eliminata la corporeità, un mondo dal quale non è eliminata la creazione, la fisicità.

"Io vidi un nuovo cielo - dice l'Apocalisse una nuova terra". Non ha visto il nulla e nemmeno solo Dio, ha visto in Dio un nuovo cielo e una nuova terra e colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". Non dice: cancello tutte le cose, non dice nemmeno: ricomincio da zero con un altro mondo alternativo a questo, perché dice: io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine. E la fine non è la distruzione, la fine è il compimento, è l'approdo, è il Dio con noi, dentro di noi e noi dentro di lui.

Celebrare la commemorazione di tutti i defunti, significa prendere sul serio questa scommessa che Dio ha compiuto e sta oggi, si proprio oggi, fratelli, per me e per voi, per ciascuno di noi, per ciascuno dei nostri cari che abbiamo consegnato a lui, anche recentemente. Ho visto le vostre facce, conosco le vostre storie, ormai quasi tutte, e ho scansione anche dei vostri lutti. Si, abbiamo consegnato, stiamo forse ancora, per qualcuno segnato da poco da questa durezza della morte dei cari, nella fatica, ma anche nella fede, consegnando, non ha smesso di consegnare, è un itinerario che il Signore ci fa fare.

Noi prendiamo sul serio questo suo gesto, noi prendiamo sul serio le parole di Gesù: "Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno". E Dio ha una parola sola: suo figlio è la Parola. Le nostre parole non hanno la forza della Parola di Dio che diventa addirittura vita, diventa Verbo incarnato, diventa croce, diventa risurrezione. La resurrezione non è al posto della croce, è dopo, che dico, è dentro. Allora, fratelli cari, questa volontà di Dio non è segnata dalle croci che attraversano e segnano la nostra vita. Anzi, è facile dirlo, verbalmente è facile, ma non posso da credente che parla ai fratelli nella fede, saltare ciò che essenziale nel Vangelo, che è la croce di Cristo; la devo dire, avendo la modestia di credere e di pregare che là dove la croce fosse pesante, sia ancora lui a camminare con noi e a sorreggerla perché non ci schiacci, perché non ci blocchi, perché non ci spenga.

Ancora: "Sono disceso dal cielo perché nulla vada perduto". Allora noi qui siamo a testimoniare che nulla va né sarà mai perduto, siamo qui a testimoniare non solo che ci rimane il ricordo dei nostri cari, ma che ci rimane il rapporto con essi. Noi preghiamo per loro, perché essi sono, non sono un'entità generica, e rimangono nella loro individualità di figli di Dio cosi come lui li ha chiamati' Non si sono persi in qualche magazzino dove c'è tutto accumulato e disperso e senza identità. No, Dio non è un magazzino, Dio è il Padre e ogni figlio ha la sua fisionomia precisa, mai mescolata né confusa con nessun'altra.

Noi siamo qui a pregare per loro, perché il loro nome é ancora e sarà per sempre pronunciato dal Padre. Possiamo fare questo perché loro e noi siamo tutti salvati dall'unico Cristo, siamo posti tutti nell'unica Pasqua del Signore, mistero di morte e di risurrezione. Ma c'è anche di più: è che loro, che vivono nel Signore risorto, ormai sottratti ai loro stessi difetti, ai loro peccati, al loro limite, essi ormai, fatti trasparenza della luce del fuoco di Dio, possono pregare per noi e con noi.

Ieri abbiamo fatto la Festa di tutti i Santi, ma "tutti i santi" sono i nostri santi in casa. Perché non sentire che non era un misticismo pseudo-religioso? No, è fede del Signore e se il Signore è vivo, in lui tutti viviamo e se il Signore ama, in lui tutti amiamo. E se il Signore porta a compimento tutto quello che ha voluto iniziare, anche noi siamo destinati al compimento, anche quelli che ci hanno preceduto.

Cari fratelli, questa sera che chiude il 2 di novembre, è la serenità dell'abbandono, che non è rassegnazione spenta, é fiducia. E' quella fiducia che hanno solo i piccoli, quelli che hanno lasciato indietro anche il loro orgoglio, anche l'orgoglio dei loro meriti, che sono pura, semplice, piccola trasparenza davanti al Signore. Se noi siamo cosi provati dalla vita, provati dalle assenze, e come ci mancano in certi momenti, come sentiamo che non ci sono e come vorremmo che fossero qui con tutti, perché avremo anche noi finalmente arrivati da condividere molte cose: che ahimé è tardi per dire, che ahimé é tardi per condividere. Ma questo "tardi" è solo un'esperienza psicologica, nel Signore non è mai tardi. C'è un solo oggi infinito che abbraccia tutto e tutti, c'è un solo sguardo, il suo, che accende tutti i nostri sguardi, accende gli sguardi di chi ci ha preceduto. Prevalga il senso del volto, prevalgono non le parole, ma il guardarsi, prevalga il silenzio estatico di chi aprendo gli occhi, vede due occhi che lo guardano con amore, che lo guardano con profondità serena, con sguardo che dice: Tu ci sei, anch'io. In Lui tutti siamo. Amen.

(1998)