SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,1-12)

In quel tempo, Gesù vedendo le folle, salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: "Beati i poveri in spirito, perché di essi a il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuori, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli".

PRIMA LETTURA

Dal libro dell'Apocalisse di San Giovanni apostolo (Ap 7,2-4.9-14)

Io, Giovanni, vidi un angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e mare: "Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi". Poi udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d'Israele. Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello". Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo: "Amen! Lode, gioia, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen". Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: "Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?". Gli risposi: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello".

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di San Giovanni apostolo (1Gv 3,1-3)

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce e perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli é. Chiunque ha questa speranza in lui purifica se stesso, come egli a puro.

(1^Omelia - Messa prefestiva)

Questa è davvero la festa della speranza, perché al centro non stanno i nostri meriti, ma l'amore di Dio.

E' stupendo l'inizio di questo brano della lettera di San Giovanni, che la seconda lettura ci propone: "Vedete quale grande dono ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente".

Se non partiamo da Dio, questa è la festa dello scoraggiamento, perché guardando i nostri campioni, i primatisti della virtù, che sono i Santi, noi potremmo solo vedere la distanza che ci separa da essi.

Ma non è in questo senso, che è pericoloso per la fede e per la speranza. Non è, direi, una imitazione, cosicché noi, fondandoci sulle nostre forze e sui nostri desideri di virtù, dovremmo cercare di raggiungerli o di imitarli il meglio possibile. No, non è questo (questo si è scoraggiante), ma è la bella notizia che Dio ama a tal punto i suoi figli, gli uomini, da renderli santi.

Quindi oggi noi abbiamo questa grande apertura, questo sguardo che l’Apocalisse ci indica con questo numero stupendo dei 144.000, che non significa proprio 144.000 né uno in più, ne uno in meno, come pensano i Testimoni di Geova, ma vuol dire che Dio è così grande che è capace di farci rispondere tutti al suo appello.

Fare un po’ di conti è: 12x12x1000, sono le dodici tribù d'Israele moltiplicate per se stesse, cosicché nessuno è fuori, moltiplicate per mille, e mille è dieci elevato alla seconda potenza. Sono tutti numeri perfetti: 4x3,10; sono tutti numeri della cabala ebraica che indicano la perfezione, la completezza. Significa proprio 144.000 che Dio ci ama a tal punto da vincere perfettamente tutto il male: il peccato, la cattiveria, l'ingiustizia, la sopraffazione che nel mondo sembrano dominare.

Ecco, allora, l'idea che ne deriva: che le "Beatitudini" non sono un esercizio di virtù, ma sono la strada attraverso la quale Dio ci raggiunge, è diverso.

"Beati i poveri" è proprio questo: "Beato te, o credente, ti scopri povero davanti a Dio. Non quando facciamo le finte di essere poveri e umili, rimanendoci male se gli altri confermano che è proprio vero che abbiamo quei difetti, dei quali cerchiamo orgogliosamente di manifestare la presenza nel nostro carattere. Ci rimaniamo male perché è psicologia, cioè non è fede, non è opera di Dio. Allora scoprirci, e questa è una scoperta che facciamo da credenti solo davanti a Dio, non davanti al nostro io psicologico, che è proprio vero: "siamo poveri". Non abbiamo niente di cui poterci sicuramente fidare; che non siamo meglio degli altri, che forse tempo addietro abbiamo giudicato. Scoprire questo davanti a Dio, questo significa "in spirito", non davanti a te, davanti ai tuoi piani di santificazione, davanti ai tuoi progetti di virtù. Scoprendo davanti a Dio - e scoprire senza angoscia perché ci fidiamo di Lui - che la nostra povertà e la più bella tra le invocazioni che si possano a Lui elevare, perché è come un grande recipiente vuoto che reclama di essere riempito dall'amore del Signore.

Ma vedete che le mie parole corrono il rischio di essere stanca letteratura, perché ci dà fastidio di essere poveri, perché siamo umiliati di essere poveri; perché  ci pare che a Dio si possa andare solo con un gesto che ha dentro qualcosa di buono da offrirgli. E invece no, il nostro è un gesto che Dio vuole riempire con il suo perdono, con il suo amore. Ecco, allora le strade attraverso le quali Dio ci raggiunge: l'afflizione - si il soffrire - l'avere prove nella vita, essere messi in difficoltà dalla vita. Perché certi verbi al passivo, notatelo sempre nel Vangelo, quando li trovate trasformateli in forma attiva, mettendo come soggetto Dio, è un artifizio per evitare di nominare il nome di Dio. Quindi "Beati gli afflitti", cioè chi è provato dalla vita, perché  "Dio li consolerà". Ecco la vera beatitudine. Noi non avremo forza, coraggio, capacità di riprendere basandoci su tutte le altre formule, che vuol dire "va un po' meglio" - "non siamo criticati nella schiena" - abbiamo successo di critica e di pubblico" – no, ma perché "Signore, tu sei la mia consolazione".

Lo so che anche qui c’è letteratura, perché anche qui noi non ci arrendiamo; ci sembra poco la consolazione di Dio, ci sembra anzi rischioso discorso da "beato". "Beati gli altri che vanno in chiesa”, quelli che se la raccontano, che si illudono, che sembrano essere oggetti di fronte alla vita e allora si consolano cosi magramente! - Anche noi abbiamo così paura! - E invece no, è solo Dio. Infatti io sto dicendovi questo perché qui non posso affermare altro che quello che il Vangelo sostiene, ma dentro di me ho la mia esperienza che vorrebbe fuggire da questa Parola. Perché? Ma Perché siamo nella stessa barca e al di là dei riferimenti nostri, a cui siamo abituati, Dio ci sembra una scappatoia incerta, fumosa, non sicura. Perché? - Ma perché non siamo poveri davanti a Lui, lo siamo davanti a noi stessi, forse con il fastidio di ammettere che siamo poveri.

Tralascio le altre "beatitudini", che non posso commentare per motivi di tempo. Ma certamente ci siamo intesi che la luce del Signore ci ha aperto uno squarcio stupendo: la nostra santità è opera di Dio, è come restare davanti a Dio, è avvento di Dio.

Fra non molto saremo nell'avvento e ci pare un periodo strano, e invece no. La nostra povertà  è l'avvento di Dio; il nostro non avere punti saldi, autonomi è l'avvento di Dio.

E la lontananza da Dio è quando, come i farisei, noi siamo così pieni di opere buone, così occupati in esse - questa si è la vera illusione - da pensare che Dio sia debitore, che Dio deve pagarci fino all'ultimo centesimo la fatica del nostro cammino. Invece no, è il contrario. Ma, vedete, con la testa ci siamo arrivati tutti, ma la testa non è sufficiente, deve essere il cuore nel senso biblico, cioè la parte più intima di noi, che, dobbiamo ammetterlo, ancora non si è arresa al Signore, ed è per questo che non siamo santi. Non perché non abbiamo virtù - ce n'è di gente virtuosa - ma non siamo santi, saremo virtuosi perché la virtù può essere anche un impegno nostro, uno si mette lì e può anche riuscire qualche volta.

La santità è l'opera di Dio, è il suo capolavoro della nostra povertà; non senza la nostra povertà, non ce l'abbona, non ci fa lo sconto. Dovremmo ricordarci: santo non è uguale a virtuoso.

(1988)

(2^Omelia - Messa dei bambini)

Siamo tra pochi intimi come prevedibile, ma stiamo ugualmente celebrando un festa, non solo importante, ma che ci dà speranza. Perché ci dà speranza? Fiato per camminare? - (Nessuna risposta)- E' ancora notte profonda, sono pochi e in coma!'

Comincio da qui. Che festa è oggi? - Dite? - R."Tutti i Santi” - Chi sono i Santi? - Qui vi voglio vedere! - "Boh",-- ho sentito un boh!  R.:"Sono,delle persone che sono morte per Dio". - Mi piace poco “morte". - Se noi dicessimo che sono persone che sono vissute per Dio, va meglio? - R. "Si sono sacrificate per Dio". - Mi date molto, però, l'idea della sofferenza. Pare che il Signore sia capace solo di chiedere di star male, ascoltando voi! - E' cosi? - Dite la verità che un po' Signore = facce lunghe, tristi!

Amici miei, ma il Vangelo che ho letto che cosa dice? - C'è una parola che continua a tornare? - R. "Beati". - Brava Barbara, o la sapevano tutti? - Vi faccio una domanda difficile: Gesù non ha detto: "Felici quelli..", ma "Beati..", c'è differenza? - Nessuno risponde? - Si, è vero, è difficile. Allora ve la spiego io, se sono capace, non sono sicuro di aver capito, c’è differenza comunque.

"Felice" è uno a cui va tutto dritto, "beato" è uno che porta il momento di gioia, il momento di difficoltà, e anche la sofferenza stessa, e anche perfino la morte, sicuro, certo, solidamente certo, che è sempre nelle mani di ..? - R. "del Signore". E' tranquillo.

Ve lo spiego con un piccolo esempio che è successo davvero. Sapete che i muratori quando finiscono una casa di solito fanno la cena. Bene, un papà di una bambina, era il capomastro di una ditta che ha costruito un grattacielo, è stato invitato dai muratori alla cena insieme con la moglie e i bambini per far loro vedere questa opera colossale. Sono saliti subito all'ultimo piano, si poteva ammirare tutta la città. Ad un certo punto - c'erano ancora le impalcature fuori e non si vedeva bene - la bambina più piccola chiede: "Papà, voglio guardare meglio". - Il papà l'ha presa tenendola - immaginate come - ben stretta, l'ha messa un po' fuori dell'impalcatura a guardare giù. E questa bambina tranquilla mente: "Ma che bello! Che alto!". - Un signore le domanda: "Ma, ascolta, non hai paura?". - Lei si volta: "Io paura! E' il mio papà che mi tiene! Sono in braccio a mio papà, perché paura? Che domanda strana mi fai!".

Avete capito dove voglio arrivare? - R. "Siiiii...! - Essere un po' penzolati fuori a quell'altezza, è pericoloso? - Accidenti, se è pericoloso! - Quindi si può avere paura di fronte al pericolo? - E' normale avere paura? - R. "Si, è normale". - Però, come si fa ad avere paura se a tenerci in braccio sono le mani del papà!

Ecco, allora, il cristiano perché è beato, non perché va tutto bene, non perché non ci sono pericoli, ma perché …? Tirate voi le conseguenze. Perché il cristiano è sempre ...? - R. "Nelle mani sicure del Padre che sta nei cieli". - Bravissimo, abbiamo dei teologi qui!

Oggi, quindi, è una festa bellissima perché nonostante noi ci dimentichiamo spesso di Dio, Dio non si dimentica di noi.

Mi verrebbe voglia di farvi un'altra domanda. Ve la faccio? - R. "Si, si..." - L'ho detta ieri sera alla messa prefestiva. - Che differenza passa tra una persona santa e una virtuosa? E' chiaro la parola virtuosa? - Sapete che cosa significa "virtuoso''? - Uno che ne sbaglia poche, che è bravo che ha un bel carattere, che riesce a controllare la sua ira, la sua pigrizia, il suo scoraggiamento. (Una mano alzata) Dimmi? R. Mi pare d'aver capito che la persona virtuosa è quella che è "tutto un dritto". - Hai detto cosi? - Mi piace "tutto un dritto", una cosa pianificata, programmata. Sono d'accordo.

Invece il santo non è quello che ha tutto un dritto, non ha uno standard che non cambia mai, che non subisce variazioni.

Il virtuoso è un uomo come d'allevamento, secondo me: tutto lo stesso peso, tutte le uova della stessa misura, tutto lo stesso sapore insignificante.

Invece il santo, secondo me, è un ruspante. Sapete che cos'è il ruspante? - E' la gallina che non sta nella gabbia perché è costretta sempre a mangiare e quindi essere tirata al collo più alla svelta. I1 ruspante è la gallina che gira fuori per l’aia, becca di qui, becca di là, e quando ne ha voglia, non sempre. C'impiega di più a portarsi al peso giusto, ma quando mangiate la carne di una gallina cosi, voi sentite che il sapore è proprio buono.

Allora i santi sono i cristiani ruspanti, quelli che vivono nel mondo e quindi fanno fatica, s'arrabbiano, qualche volta si scoraggiano; non sempre le vanno tutte dritte, sbagliano, fanno anche i peccati. Eh, si, i santi fanno i peccati! - Ma, ma.... si fidano fino in fondo del Signore. Sono tranquilli perché anche se sotto ci sono trenta metri di precipizio, sono, come nell'esempio che ho fatto, nelle mani di Dio.

Il virtuoso, invece, sapete chi è? - E' colui che sta nelle sue mani, che sta male se una la sbaglia perché è cosi perfezionista, ama così se stesso bravo, è così contento di essere bravo che non sopporta, quando gli capita, di non esserlo: fa fatica, s'arrabbia con sé, si dispera. Perché? - Ma perché si fida di se stesso. Ecco il virtuoso: si fida di se stesso.

Allora io ho autorizzato tutti i miei amici a fare arrabbiare la mamma, perché sono più santi se fanno arrabbiare e si fidano del Signore. E sono meno santi se sono molto bravi, ma non si fidano del Signore. Chiediamo al Signore di farci diventare non dei virtuosi, sempre "tutto d'un dritto" - diceva lui - ma di farci diventare, che cosa? - Coraggio! - R. "Santi".

(1988)

(3^Omelia)

Solennità di Tutti i Santi, questo è il titolo. Forse già pensiamo al calendario, e facciamo bene, quelli senz'altro sono santi, la Chiesa li ha riconosciuti. Ma la festa di oggi è più grande che non l'elenco del calendario. La festa di oggi non è la festa della forza umana, della volontà umana, della coerenza virtuosa degli uomini. E' la festa dell'amore di Dio, della sua potenza, della redenzione che è più grande di tutte le nostre mancanze, dei nostri peccati e dei nostri limiti. E' la festa, dunque, di tutti gli uomini, amati da Dio, che hanno accettato di essere raggiunti da Lui, che hanno accettato di essere amati da Lui e che perciò hanno smesso la resistenza, che spesso è sordamente avversa al venire di Dio. E dunque è la festa di tutti i Santi di tutte le latitudini, di tutte le culture, di tutte le razze, - udite - di tutte le religioni, perché Dio ama tutti gli uomini e suscita i suoi figli dovunque, perché per tutti Cristo è morto, per tutti Cristo è risorto.

Quindi è la festa che proclama, come dice la seconda lettura, l'amore di Dio così che noi siamo chiamati figli di Dio e lo siamo realmente e quando Lui si manifesterà saremo simili a Lui perché lo vedremo così come egli è. E' quindi la speranza di questo, la certezza che questo si sta avverando nel mondo. State tranquilli, non farò nessuna applicazione di tipo morale, non perché non conti, anzi, ma perché la nostra morale come risposta a Dio è fiacca, perché non meditiamo mai, non ci sorprendiamo mai, non siamo mai catturati, conquistati dalla riflessione del suo amore, mettiamo sempre davanti cosa dobbiamo fare, cosa essere, da che parte cominciare, come essere virtuosi e diventa di una tristezza unica.

Già lo avevo detto, quando si leggono le Beatitudini, proprio perché non siamo arresi e conquistati alla centralità dell'amore di Dio, esse per me sono quasi sempre fonte di tristezza. Ora qui è tutta una fila di disgrazie; é una fila di disagi; l'elenco dei tagliati fuori. Non sorridete, è vero. Noi facciamo certi discorsi qui, ma neanche per molti che qui crediamo, sono veri fuori di quella porta, "là c'è la giungla" - mi diceva una giovane signora. "Caro Ulisse, io sto prendendo sul serio il Signore dopo anni che lo avevo lasciato. Ma credimi, io sono d'accordo con quello che diciamo in chiesa, ma appena fuori è la giungla". Ha ragione, é vero. Ma la giungla è nel nostro cuore, non è solo un problema di altri che fanno la giungla, noi siamo già "giungla". Ed è per questo che noi abbiamo bisogno di mettere con chiarezza questa luce di Dio che ci ama, che ama tutti gli uomini, che non desiste dal cercarci, perché è solo da questo punto che può ripartire una risposta, non dalle leggi. Gli stessi Comandamenti noi li abbiamo trasformati in legge, ma neanche l'ebreo, che pure è un osservante rigoroso, li ha chiamati legge, mai. In tutta la Bibbia non sono mai chiamati legge, nemmeno comandamenti, sono chiamati Parola, Insegnamento. E questo presuppone non un legislatore, presuppone una persona con cui fare i conti, perché questa persona ha diritto di chiederci conto. Infatti anche nel contesto della Bibbia e dell'Esodo, il comandamento compare nel momento della libertà, ma non come fatto compiuto, ma fatto in atto: Dio ti sta liberando, ti dice Dieci Parole, te ne dice venti, una, è lo stesso. Ti dice delle Parole che ti aiutano a non ricadere nella schiavitù.

Da qui allora, come dice la seconda lettura, sempre da questo incontro che nasce questa speranza, e la speranza è una virtù attiva. Noi abbiamo un'idea molto passiva della speranza: aspettiamo. La speranza è credere, fidandoci, che questo così vero, da non essere mai sconfitti nemmeno dai nostri errori. Quindi ritenere e credere la nostra preziosità, non con quel gioco, che é molto corto anche intellettualmente e moralmente, di autoassoluzione, dicendo che tanto tutti fanno così, che tanto fa parte della condizione umana essere fragili. Questo è un giochino che finisce presto. Ma a ripartire da quel Dio che non è sconcertato dal mio errore, che non si scandalizza del mio errore, perché mi ama, ama me. E' quello che sento dire dai genitori quando i figli creano sofferenza, fanno degli errori verso di loro. La mia reazione qual è? Fallo pedalare, e credo che sia forse la cura migliore. "Ma già, come si fa?". Io ripeto: non ho detto non amarlo, amalo, ma esigi la sua altezza. Non concedergli che si abbassi, si appiattisca sulla sua stupidità, la sua mancanza di volontà, il suo corto respiro morale. Amalo, chiedigli molto. I cavalli di razza bisogna farli correre, altrimenti si rovinano. Anche le macchine, che non sono esseri viventi, se voi le usate sempre al di sotto delle loro possibilità, non andranno più. Chiedo scusa di questi paragoni molto meccanici, quando parliamo di cose vive, ma per interderci.

Ecco allora la stupenda scena di questi 144.000 con le vesti bianche. Sono quelli che hanno purificato se stessi, perché incontrando la proposta, si sotto fatti mettere in discussione da questa proposta. Non si sono nascosti di fronte a questa luce. Non hanno avuto paura di farsi indagare da questa chiarezza, mettersi in questione da questa chiarezza. Qual é il cammino del cristiano? Aver davanti questo Dio splendidamente innamorato di noi e sentire che dovunque in ogni contesto a Lui si deve risposta.

Mi fermo qui, volevo guardare questa moltitudine dei 144.000, che conferma la mia ipotesi di partenza, se non ho capito male, e che cioè l'amore di Dio è più forte dell'errore, del peccato e dell’ingiustizia. Perché secondo un buon uso della cabala ebraica, che non è solo un gioco di numeri, badate, é un atteggiamento mistico, i numeri indicano il mistero di Dio, e 144.000 è le dodici tribù moltiplicate per dodicimila; e il 12.000 è il dodici per mille, il 12 é il 4x3, il mille  è dieci elevato alla potenza. Voi lo sapete già si gioca su due numeri: il 3, il 4 e il 10. Il tre significa completezza, il quattro perfezione, perfezione anche il 10 e tutti i suoi elevati a potenza. Cosa vuol dire, amici miei? Non come dicono i Testimoni di Geova che il Signore ne salva solo 144.000. E gli altri chi sono: figli di Dio o spazzatura? E' che non mancherà nessuno. Ma attenti bene! Cito il mio vecchio amico S.Agostino: "Quel Dio che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te". Lui continua ad amarti, e tu ed io cosa gli stiamo rispondendo?

Allora gli auguri ve li faccio, perché è la festa di tutti: siamo tutti amati da Dio. Auguri per scoprire questo amore stupendo e incantevole.

(1995)

 

(4^Omelia)

Noi celebriamo la solennità di Tutti i Santi, il nostro pensiero va ai santi che sono sul calendario certamente, quelli canonizzati dalla Chiesa in termini ufficiali, additati ad esempio di tutti. Ma non ci fermiamo, noi oggi celebriamo i Santi che solo Dio ha conosciuto nella loro santità. E celebriamo i santi non solo cristiani, ma anche quelli musulmani, quelli di tutte le epoche, di tutte le esperienze. Perché dico questo? Per sorprendervi, per fare l'avanguardista a tutti i costi? Ma no, perché noi celebriamo con questa festa l'amore del Padre, che è per tutti uomini e quindi la contemplazione é l'elemento fondamentale, la gioiosità. Quindi non farò nessuna applicazione di tipo impegnativo per noi, nemmeno solleciterò ad essere bravi e buoni. Mi fermo molto prima di queste cose, perché veramente dovrebbe essere, il clima di questa festa, la "gioia, il ringraziamento, la sorpresa". Infatti la seconda lettura è la chiave per cogliere questo, dice: "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Noi siamo fin d'ora figli". Ecco il grande punto: guardare tutti gli uomini, guardare anzitutto noi stessi, a partire da questo. Questo è il punto fondamentale della fede: l'amore con cui siamo amati. Perché anche tutta la parte d'impegno morale - di cui ho promesso di non parlarvi, non perché non sia importante -, se ha un punto di aggancio, non è il comandamento, non è la legge, è la scoperta di questo amore gratuito, fondamentale, sorprendente con cui noi, si proprio noi, ciascuno di noi, siamo amati. E' la chiave anche per interpretare in senso gioioso le Beatitudini, che invece a me creano spesso, perché mi dimentico questa chiave di lettura, un senso di oppressione. Mi confronto con tutti questi parametri e mi sento distrutto, perché fuori regola rispetto alla speranza del Signore.

Ma questi parametri non sono quello che aggiungiamo noi rispondendo a Dio. Le Beatitudini sono un dono di grazia, per cui sono il modo con cui Dio ci guarda. Noi non siamo beati perché siamo capaci di fare i "poveri", noi siamo beati perché siamo già "poveri". Si capisce che se siamo già poveri, dovremmo essere meno arroganti anche nei confronti di Dio, e dunque vuol dire che non siamo lontani. Ma quando qualcuno si accorge di fare fatica, di non essere capace, di sbagliare ancora e rimane come deluso da se stesso, significa che ancora è un superbo, poco cristiano. Invece vuol dire: "Signore, grazie che sto vedendomi per quello che sono, perché tu ami chi non è in grado di risponderti. Chi si arrende perciò a Te, non arriva con il suo carico di meriti ad obbligarti ad ascoltarlo, quasi avesse il diritto di essere ascoltato perché si è guadagnato i meriti sul campo, ma ammette la sua povertà. Era quello che abbiamo meditato.

Ecco, allora, trovarci poveri e non vergognarci perché mettiamo al centro prima di tutto la forza e la potenza dell'amore di Dio. Ecco perché la grande visione dell'Apocalisse, dei 144.000, è la visione di speranza. Io non la leggerò nella chiave dei Testimoni di Geova, anzi all'incontrario, che l'hanno presa perfino alla lettera: 144.000 né uno in più ne uno in meno. Che spreco, Dio ha messo al mondo miliardi di uomini per salvarne una fetta così piccola! Ma Dio mio! Ma significa un'altra cosa, 144.000 sono 12.000 da ogni tribù. Chiaro, qui c'è sotto la cabala ebraica con il gioco dei numeri. Ma i numeri sono un messaggio di speranza, perché il 12 è un numero dato da 4x3, che sono i due numeri della totalità, della perfezione, moltiplicati per 1000, moltiplicati per se stessi; sono tutti numeri della perfezione. Quindi 144.000 salvati con le vesti bianche, dentro il sangue dell'Agnello, è questo: la redenzione di Dio, nonostante il peccato, l'assurdità degli uomini, la fatica della storia. La redenzione di Dio raggiunge il suo effetto, Cristo non è morto e risorto invano, siamo suoi.

Mi fermo qui, non ho da dirvi altre cose: guardare con fiducia, con speranza, con gioia a questa luminosità splendente, che riguarda proprio noi. Certo, sarebbe ora che fossimo un po' aperti a questo Dio, ma di questo ho detto che non ne avrei parlato. Ma guardate che la risposta nasce dalla gioiosità. Se noi non incontriamo con gioia l'amore di Dio, non gli risponderemo, saremo lì a fare del piccolo cabotaggio, cercando sconti, sperando che Lui chiuda gli occhi, ma questo è un giochino molto breve, dal fiato corto. Invece se incontriamo questa luce, noi siamo arresi e la povertà non è un impegno da avere, è semplicemente abitare la povertà che già siamo, non dico che abbiamo: noi siamo povertà. Ed è questa la vita morale: addormentarci nelle mani di Dio, lasciarlo fare, così come i bambini s'addormentano, quando sono in mani sicure, questo contatto affettuoso di coloro che li amano. Sono poverissimi, debolissimi, ma hanno tutto, perché hanno l'amore, hanno l'accoglienza, hanno la gioia del contatto. E Dio è così con noi, noi sentiamo ostico Dio perché non ci siamo lasciati andare al modo di questo bambino che vi ho descritto. Per questo Gesù aveva detto: "Il regno dei cieli, la vittoria dell'amore di Dio, cioè, sarà di coloro che sono come questi piccoli. Chiediamo al Signore di essere "piccoli" arresi, serenamente abbandonati nelle sue mani.

(1995)

(5^Omelia)

Sapere dove si arriva, conoscere la meta, conoscere e intravvedere il punto di maturazione di un percorso, aiuta moltissimo a vivere profondamente e fruttuosamente il percorso stesso. E' chiaro che la festa di oggi ci indica il punto di approdo, lo indica a noi che siamo ancora qui durante il percorso. E dall'interno del percorso stesso non è agevole sapere cosa sia giusto, che cosa conti e soprattutto che cosa resti, quello che resta cioè al di là dell'emozione, al di là delle illusioni, così facili, così a portata di mano, legate ai bisogni e perciò subdole perché squilibrano la lucidità del pensiero e della scelta.

Vedere dove si arriva è importante e oggi la Chiesa lì apre questo squarcio, dice: la vita conduce qui e tu con il tuo cammino, con il tuo percorso stai mirando proprio lì o dove? Infatti è molto chiaro, la seconda lettura dice: "Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio", "fin d'ora". La vita eterna - lo dico spesso durante i funerali - non comincia dopo la morte. Se pensate così, non avete colto in tutta la sua ricchezza quello che siamo. Noi siamo già figli di Dio con il battesimo, é stato confermato nella cresima, ogni volta che nella fede mangiamo il Cristo risorto nell'eucarestia, questo essere figli di Dio riceve una spinta, un dinamismo travolgente.

Lo Spirito Santo, che abbiamo ricevuto, é ciò che rende vivo sempre e dovunque, dall'inizio della Creazione fino alla fine del mondo, chi appartiene a Dio e lo fa essere animato da Dio. Noi non siamo figli di Dio perché abbiamo una certificazione, noi siamo figli di Dio perché dal di dentro il suo soffio ci sta trasformando nel figlio. Badate non è come se Dio facesse finta che noi siamo suoi figli, non sta chiudendo un occhio perché è buono e paziente, poi alla fine. No, lo siamo già. Nelle prime righe della seconda lettura S. Giovanni dice: "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli - qui potrebbe suonare solo certificazione, ma la frase sostiene con forza - e lo siamo realmente!”. Non è detto "lo saremo", lo siamo.

Ora se questo è vero, ed è vero, come mi rileggo io figlio per grazia non per merito? Cari fratelli, nessuno di noi, per fortuna, può arrivare a questo per merito, ne saremmo tutti esclusi se questo fosse il criterio, lo siamo per grazia, per gratuità che ci rende graditi. Bisognerebbe riprendere il termine greco di grazia che è "kaire", che significa anche bellezza. E' il gioco stupendo del "Ave Maria" nell'annuncio dell'angelo, a "Kaire Maria, kekaritomene" - non è sfoggio, è teologia questo -: "Rallegrati, sii bella, tu che sei resa bella dalla grazia di Dio". La verità del nostro essere figli non è un'idea, è una bellezza. La bellezza è l'intimità della verità, la bellezza è la verità che non si ferma all'intelletto, ma coinvolge, cattura e affascina tutta la creatura umana. Noi siamo bellezza di Dio perché figli, e figli gratuitamente per grazia, una grazia che ci rende graditi.

Allora come potrò accettare di non essere bello? Attenti bene, non ho detto: come potrò accettare di essere distrutto? Non sto parlando del peccato grave, quello mostruosamente in grado di deformare, di uccidere la mia vita di figlio di Dio. Sto pensando a quella più diffusa, subdola, e perciò pericolosa situazione di quel peccato strisciante che non diventa mai gesto clamoroso, ma uccide l'anima e uccide e deforma la bellezza; quel peccato strisciante dell'omissione, per cui non vengo mai turbato da qualcosa di veramente sorprendente che mi spaventi e magari per grazia di Dio mi riconduca a riprendere il cammino. E' il peccato più diffuso, quello quotidiano, quello che é anestetizzante la coscienza, proprio perché lo facciamo tutti, lo facciamo insieme, lo facciamo anche in chiesa, lo facciamo mentre abbiamo messo l'etichetta dei figli di Dio, ma dentro c'è aridità, c'è vuoto. E’ il non essere mai veramente catturati da Dio e Dio è un nome e i fratelli sono un'idea e i fratelli diventano tali in qualche occasione, magari a Natale. Un gesto anche partito da me, non è più me, un gesto che non mi trasforma, un gesto in cui io non sono stato dentro, un gesto che poi prenderà le strade anonime delle solite cose, dei soliti ritmi, del solito bene anche televisivo. La solidarietà, per esempio, non è quella, è quella che entra nel quotidiano, non quella che io tengo doverosamente dal punto di vista della mia tranquillità lontano, che non s'arrischi troppo, soprattutto che non sia quotidiano.

"Siamo già figli di Dio, tuttavia ciò che saremo non è stato ancora rivelato". C'è un percorso da fare e il percorso é uno solo: la conversione. E il percorso è quello anche che ci ricorda il Giubileo, significa che se Cristo è venuto e il tempo è stato segnato dalla sua data, la nostra vita ne è segnata. Il Giubileo è che se Cristo è venuto, il mondo é stato trasformato dalla sua venuta. Ma il mondo sono io, gli altri non lo so, il mondo non si trasforma perché qualcun altro lo farà, il mondo si trasforma se ciascuno dice: io sono chiamato a questa trasformazione, io sono chiamato a mettermi in questione, io sono chiamato a prendere sul serio la sua presenza nel mondo.

Ebbene dice Giovanni: "Chiunque ha questa speranza, purifica se stesso". Ecco perché il Signore ci lascia il tempo della vita, affinché noi ci purifichiamo. Domani celebreremo, ricorderemo e faremo memoria dei nostri morti, e tutti, non c'è nessuno che non abbia nella propria casa la lista, interiore spero soprattutto, dei propri cari che sono defunti. Cosa vuol dire ricordare, far memoria dei nostri morti? E' consegnare i loro difetti e i loro peccati a Dio. Noi abbiamo un modo strano, appena una persona muore, la sublimiamo e dimentichiamo i suo errori, ma perché? Ma non per parlarne male, intendiamoci, è figlio di Dio e Dio lo ama, lo ama come è stato.

Ma allora a noi che siamo ancora in vita quel Dio che ci ama, non ha niente da chiederci? Se il percorso è andare incontro a lui, il mio percorso va proprio dritto verso di lui o sono deviato? Ecco il tempo della conversione: ricentrare l'obiettivo, ricalibrare la risposta, sapere che il tempo non è indefinito, è finito. Non voglio terrorizzarvi perché lo sto dicendo a partire dall'amore di Dio, ma chi ci dice che avremo molte occasioni ancora per cambiare o forse solamente una? Perché aspettare, che cosa? Colui che aspettiamo, sta già arrivando. Perché umanamente quando qualcosa ci piace, non siamo tranquilli finché non l'abbiamo avuta e posseduta? Ma perché a questo Dio così ricco di amore, perché poi la meta è Lui, rispondiamo così poco?

Ecco la splendida prima lettura in cui si parla dello sposo. Ma cosa c'è di più bello che la sposa stia con lo sposo: l'intimità, la tenerezza, la gioia, l'accoglienza! Pensate che Dio per indicarci qual é il suo rapporto verso di noi, si é definito lo Sposo. Anche Gesù si è definito così. Quando fu rimproverato insieme ai suoi discepoli, che non fossero penitenti, che non facessero digiuno, Gesù tranquillo tranquillo dice: “Ma non si può digiunare quando c'è lo sposo per la festa di nozze, dopo digiunerai”. Splendido!

Noi siamo tra due feste di nozze: tra il Natale e la Parusia, la venuta. Possiamo digiunare, ma non per essere tristi, ma perché la festa di nozze sia piena, non manchi nessuno, non manchi niente di noi. Arriviamo per quello che il Signore ci ha dato di essere, con tutta la ricchezza del suo dono senza averlo deturpato, sciupato, svilito, banalizzato. Forse il nostro peccato più di essere un grande gesto - lo ripeto - è questa banalizzazione, questa quotidianità spenta. Il Giubileo può essere questa chiarezza della vita, questa chiarezza di riferimento, questa decisione e lucidità nel percorrere la nostra strada.

Che il Signore ci benedica, ci faccia essere serenamente su questa strada giorno per giorno con gioia come si addice ai Santi. Perché, cari fratelli, voi siete santi, perché Dio vi ama. E allora perché non rispondere a questo amore?

(1998)